Il Nuovo Quotidiano di Puglia ricorda il grande artista nel suo 105.mo dalla nascita
In realtà era nato il 14 marzo, ma, come usava una volta, suo padre lo aveva registrato all’anagrafe “con comodo”, cioè il 16… Questo pero’ ANITA PRETI, che ringrazio, autrice dell’articolo qui riprodotto in parte, pubblicato il 14 scorso, non poteva saperlo…
Ringrazio anche il responsabile di redazione del Nuovo Quotidiano di Puglia, Giovanni Camarda, che mi ha fornito il testo “lavorabile” dell’articolo, poichè del medesimo avevo solo l’immagine che vedete qui sotto…
A seguire il testo dell’articolo di Anita Preti, che ho in parte sintetizzato e riprodotto…
“Qualcuno ha in casa, appesa alle pareti, la “crosta” che si merita, qualcuno la tela di un grande artista; qualcuno conserva i quadri nelle cassette di sicurezza, qualcuno (certamente è un pittore) ricorda con nostalgia il tempo in cui i quadri si esponevano all’aperto. Cosa rappresentassero una volta, quale fascino esercitassero sui loro frequentatori e di riflesso sulla città, sarebbe cosa da vedere. Anzi da leggere. Per fare ciò bastano due poderosi saggi di Antonio Basile contenuti in due volumi editi da Mandese (“Taranto dagli ulivi agli altiforni” e “L’età dell’acciaio”). I due libroni (ed un terzo simile) formano una storia della città moderna a cura di Roberto Nistri che, d’accordo con la famiglia Mandese, ha riunito un bel po’ di studiosi. Basile, docente dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, oltre che direttore scientifico del museo etnografico “Alfredo Majorano” (che ha sede a Palazzo Pantaleo), nel suo racconto parte da lontano, dalla fine degli anni Quaranta, durante la ricostruzione postbellica e la rinascita della Nazione, quindi dal Premio Taranto (come un mantra tocca ripetere la frase del poeta Giuseppe Ungaretti, “il più bello dei premi italiani”). La storia di questo premio di letteratura e di pittura è stata dettagliatamente ed egregiamente raccontata da Aldo Perrone in un libro pubblicato dal Gruppo Taranto.
Fra due giorni, il 16 marzo, nel 1916 nasceva a Grottaglie Emanuele De Giorgio. Uomo d’altri tempi, gentile, timido, schivo, riservato, forse egli troverebbe persino esagerati gli auguri postumi. Invece è molto di più quello che ancora merita essendo stato se non l’unico, certamente tra i maggiori rappresentanti dell’arte a Taranto e nel suo territorio. Viene in soccorso, a chi ne volesse sapere di più, un prezioso volume pubblicato dall’Amministrazione provinciale (anch’essa, come quella comunale, dedita un tempo a diversivi, rispetto alle quotidiane attività, destinati a superare lo spazio di un mattino ed i libri lo sono…): “Oltre il margine: con Emanuele De Giorgio, pittore e grafico, nelle esperienze figurative del Novecento; lo ha scritto un conterraneo di De Giorgio, il giornalista e scrittore grottagliese Silvano Trevisani, ammirevole nella sua pervicace ostinazione a fare della cultura una ragione di vita. Trevisani racconta degli inizi di De Giorgio, quasi obbligati per uno nato da quelle parti, l’apprendistato nella bottega di uno zio ceramista e poi l’istituto d’arte. Quindi, tappa dopo tappa, ecco l’artista dialogare con i grandi, il poeta Alfonso Gatto, i pittori Domenico Purificato, Salvatore Fiume, Orfeo Tamburi. Ancora ecco De Giorgio in cammino: dalla prima mostra personale che si tiene nel 1947 nelle sale del Museo nazionale archeologico, il MarTa, alla penultima grande antologica al Circolo Italsider che gli viene dedicata dal mitico Peppino Francobandiera responsabile della struttura.
I cardi ed i fiori secchi, le pietre di un suolo riarso, le figure dei contadini, le brocche ed i “vummili” per tenere fresca l’acqua nelle ore di lavoro sotto il sole, le nature morte e la natura da non far morire (“Contadino, ulivo e paesaggio industriale”, è l’estrema sintesi di quel che sarebbe accaduto) sono i “personaggi” della scena artistica di De Giorgio, poeta della sua terra, che fu sì pittore di vaglio ma pure un prezioso incisore. In questa veste entra nella piccola storia delle gallerie d’arte tarantine “debuttando” come organizzatore ed esponendo le opere accanto ad Annigoni, Servolini, Sassu, Baj, Carrà, nomi di grande rilievo, nella prima Mostra nazionale dell’incisione che si tiene a Taranto nel 1958.
Emanuele De Giorgio (che coltiva anche una vena da narratore, brevi racconti nelle cui righe a volte fa capolino la figura della sua amatissima consorte, Maria Giovanna Petrone) continua fino alla sua scomparsa, nel 1983, ad occuparsi di incisioni secondo le varie tecniche onorate ciascuna da una perizia assoluta, ma quella mostra del 1958 è una data fondamentale per chiunque voglia mettere insieme tutti i tasselli, piccoli e grandi, più o meno clamorosi, della storia di Taranto. L’esposizione viene ospitata nella galleria d’arte dell’Ente Provinciale per il Turismo, nei locali sottostanti la sede, in via Acclavio all’angolo con corso Umberto. A voler far nascere un anno prima questo punto d’incontro delle arti è stato Angelo Raffaele Cassano, illuminato presidente dell’Ente. La galleria dell’Ept, denominata Taras, diventa subito il punto di incontro degli intellettuali. Le nicchie ad arco della Taras, il pavimento in grès porcellanato rosa sono gli elementi stanziali di quel salotto dell’arte, il resto varia: si avvicendano tele di Guttuso, Mafai, De Pisis, Rosai, Sironi, Vedova con i quali i tarantini cominciano a fare amicizia visiva per poi riconoscersi più agevolmente nelle opere dei “Pittori pugliesi residenti fuori delle Puglie” come Cantatore e Casotti (ma la mostra, ricorda ancora Antonio Basile riferendo di quella mostra, non trascura i futuristi Emilio Notte e Mino Delle Site). La galleria Taras cambia nome e viene intitolata al suo fondatore, Angelo Raffaele Cassano, all’indomani della sua scomparsa nel 1967. Si fa avanti anche l’ente pubblico: il Comune si cimenta nell’arte con la galleria del Palazzo degli Uffici prima di crearne una nuova nel Castello Aragonese dove una mano ignorante cancella con la pittura un lavoro di Nicola Carrino. Ma intanto il Circolo Italsider ha avviato l’attività della sua spettacolare galleria d’arte dal pavimento a scacchi bianchi e neri. Nomi impensabili, mostre eccezionali. Lo stupore. Che si vorrebbe ritrovare pur sapendo che è impossibile”.
MDG
(il testo “virgolettato” si riferisce all’articolo firmato da Anita Preti)